Il cardinal Menichelli: “La priorità è difendere i bambini e avere figli non è un diritto”
Intervista su unioni civili e DDL Cirinnà con il Porporato nominato da Francesco: «Quando si toccano certi temi non dovrebbero esistere steccati o posizioni pregiudiziali»
E se il dibattito sulle unioni civili da terreno di scontro, diventasse anche terreno di possibile incontro tra laici e cattolici? Il cardinale Edoardo Menichelli, arcivescovo di Ancona, è uno dei porporati italiani nominati da Papa Francesco: «Quando si toccano certi temi non dovrebbero esistere steccati o posizioni pregiudiziali».
Perché siete preoccupati per il DDL Cirinnà e in particolare per le adozioni alle coppie gay?
«La nostra preoccupazione nasce innanzitutto da un dato di fatto incontrovertibile: si avverte il bisogno impellente di intervenire su una materia che riguarda un numero limitato di persone, e si fa poco per aiutare la famiglia...».
A che cosa si riferisce?
«Al fatto che non si è mai introdotto il quoziente familiare per un fisco che tenga veramente conto della famiglia e del numero dei figli. Al fatto che ci sono tante situazioni nelle quali è un problema sposarsi e avere figli perché mancano un lavoro minimamente stabile e la casa. Al fatto che siamo il Paese con la più bassa natalità in Europa ma non mi sembra che ci preoccupiamo di invertire questa tendenza, come invece hanno fatto, da decenni, Paesi che pure rivendicano in continuazione la loro”laicità”, come nel caso della Francia. Devo continuare?».
Io però le avevo chiesto di parlare delle unioni civili. In particolare della norma che prevede la step-child adoption, cioè l’adozione del figlio dell’altro coniuge, per le coppie omosessuali.
«Ho cercato di rispondere: le unioni civili non mi sembrano una priorità. La priorità sarebbe aiutare sul serio le famiglie, in modo concreto. Vede, se il nostro fosse un Paese dove si sostiene la famiglia, riconoscendone il ruolo insostituibile di cellula fondamentale della nostra società, primo luogo formativo, prima scuola, primo ammortizzatore sociale, primo ospedale, allora sarebbe più facile discutere di come venire incontro anche a determinate esigenze riguardanti i diritti individuali delle persone. Tutto questo senza equiparare altre forme di convivenza al matrimonio che, come prevede anche la nostra tradizione giuridica, è l’unione tra un uomo e una donna che si impegnano pubblicamente a vivere insieme, con dei diritti e dei doveri».
Mi sta dicendo che non c’è chiusura totale sull’argomento da parte della Chiesa?
«Noi crediamo e ribadiamo che il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna, aperto alla generazione di figli. Mi fa un po’ specie ripeterlo, eppure è un dato di realtà che viene prima di qualsiasi contenuto confessionale o religioso. Ciò non significa che non si possa trovare il modo di rispondere a certe esigenze delle persone, riguardanti l’assistenza sanitaria, problemi patrimoniali, etc. Molte risposte ci sono già nel nostro diritto civile. Se ne possono individuare altre, costituire un testo unico, ma senza equiparazioni che seppur non nominalmente, di fatto rendano altre forme di unione uguali al matrimonio».
Parliamo dell’adozione dei figli...
«Dobbiamo avere sempre un’attenzione particolare ai più deboli, cioè ai bambini. Questo principio vale anche quando parliamo di separazioni e divorzi: spesso infatti ci dimentichiamo che a pagare il prezzo più alto sono proprio i figli della coppia. Il recente Sinodo dei vescovi sulla famiglia l’ha ricordato. Ebbene, proprio da questo criterio e da questa preoccupazione viene il nostro no alle adozioni per le coppie omosessuali. Non basta dire che l’utero “in affitto”, pratica degradante per la donna ridotta a incubatrice dei desideri altrui, non è prevista nella nostra legislazione. Se passa la stepchild adoption, chi impedirà di andare all’estero, dove questa pratica è legale, per avere un bambino e poi tornare in Italia facendolo adottare anche al partner? Noi crediamo che il figlio non sia un “diritto”, perché così diventerebbe in qualche modo un figlio-proprietà. E allo stesso tempo, con Papa Francesco ripetiamo che ogni bambino che viene al mondo ha il diritto di crescere in una famiglia con un papà e una mamma. Mi hanno colpito positivamente le reazioni di alcune esponenti del movimento femminista su questo argomento, contrarie alla stepchild adoption e all’utero in affitto in nome della dignità della donna. Quando si toccano certi temi non dovrebbero esistere steccati o posizioni pregiudiziali».
La Chiesa non rischia di essere retrograda in questo campo?
«Perché mai? Forse perché afferma l’evidenza del fatto che il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna aperti alla generazione di figli? Perché si preoccupa dei più deboli e dei più indifesi, cioè i bambini? Perché chiede che la famiglia e il suo ruolo insostituibile vengano riconosciuti e adeguatamente sostenuti? Non credo che questo significhi essere retrogradi. Non tutti i desideri sono diritti, non tutte le forme di convivenza possono essere equiparate di fatto al matrimonio. Questo non significa discriminare le persone omosessuali: ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata e accolta. E si possono trovare gli strumenti per venire incontro a certe esigenze di chi vive questo tipo di unioni».
Questa intervista è stata pubblicata nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa Clicca.