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Francesco Esortazioni Apostoliche
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ESORTAZIONE APOSTOLICA POST-SINODALE
CHRISTUS VIVIT
DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
AI GIOVANI E A TUTTO IL POPOLO DI DIO
3. A tutti i giovani cristiani scrivo con affetto questa Esortazione apostolica, vale a dire una lettera che richiama alcune convinzioni della nostra fede e, nello stesso tempo, incoraggia a crescere nella santità e nell’impegno per la propria vocazione. Tuttavia, dato che si tratta di una pietra miliare nell’ambito di un cammino sinodale, mi rivolgo contemporaneamente a tutto il Popolo di Dio, ai pastori e ai fedeli, perché la riflessione sui giovani e per i giovani interpella e stimola tutti noi. Pertanto, in alcuni paragrafi parlerò direttamente ai giovani e in altri proporrò approcci più generali per il discernimento ecclesiale.
La sua giovinezza ci illumina
30. Questi aspetti della vita di Gesù possono costituire un’ispirazione per ogni giovane che cresce e si prepara a compiere la sua missione. Ciò comporta maturare nel rapporto con il Padre, nella consapevolezza di essere uno dei membri della famiglia e della comunità, e nell’apertura ad essere colmato dallo Spirito e condotto a compiere la missione che Dio affida, la propria vocazione. Nulla di tutto questo dovrebbe essere ignorato nella pastorale giovanile, per non creare progetti che isolino i giovani dalla famiglia e dal mondo, o che li trasformino in una minoranza selezionata e preservata da ogni contagio. Abbiamo bisogno, piuttosto, di progetti che li rafforzino, li accompagnino e li proiettino verso l’incontro con gli altri, il servizio generoso, la missione.
36. È vero che noi membri della Chiesa non dobbiamo essere tipi strani. Tutti devono poterci sentire fratelli e vicini, come gli Apostoli, che godevano «il favore di tutto il popolo» (At 2,47; cfr 4,21.33; 5,13). Allo stesso tempo, però, dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale.
65. Il Sinodo ha riconosciuto che i fedeli della Chiesa non sempre hanno l’atteggiamento di Gesù. Invece di disporci ad ascoltarli a fondo, «prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione».[24] D’altra parte, quando la Chiesa abbandona gli schemi rigidi e si apre ad un ascolto disponibile e attento dei giovani, questa empatia la arricchisce, perché «consente ai giovani di donare alla comunità il proprio apporto, aiutandola a cogliere sensibilità nuove e a porsi domande inedite».[25]
Giovani impegnati
168. In effetti, di fronte ad una realtà così piena di violenza e di egoismo, i giovani possono a volte correre il rischio di chiudersi in piccoli gruppi, privandosi così delle sfide della vita in società, di un mondo vasto, stimolante e con tanti bisogni. Sentono di vivere l’amore fraterno, ma forse il loro gruppo è diventato un semplice prolungamento del loro io. Questo si aggrava se la vocazione del laico è concepita solo come un servizio all’interno della Chiesa (lettori, accoliti, catechisti,…), dimenticando che la vocazione laicale è prima di tutto la carità nella famiglia e la carità sociale o politica: è un impegno concreto a partire dalla fede per la costruzione di una società nuova, è vivere in mezzo al mondo e alla società per evangelizzarne le sue diverse istanze, per far crescere la pace, la convivenza, la giustizia, i diritti umani, la misericordia, e così estendere il Regno di Dio nel mondo.
170. Il Sinodo ha riconosciuto che «anche se in forma differente rispetto alle generazioni passate, l’impegno sociale è un tratto specifico dei giovani d’oggi. A fianco di alcuni indifferenti, ve ne sono molti altri disponibili a impegnarsi in iniziative di volontariato, cittadinanza attiva e solidarietà sociale, da accompagnare e incoraggiare per far emergere i talenti, le competenze e la creatività dei giovani e incentivare l’assunzione di responsabilità da parte loro. L’impegno sociale e il contatto diretto con i poveri restano una occasione fondamentale di scoperta o approfondimento della fede e di discernimento della propria vocazione. […] È stata segnalata anche la disponibilità all’impegno in campo politico per la costruzione del bene comune».[91]
183. Cari giovani, non permettete che usino la vostra giovinezza per favorire una vita superficiale, che confonde la bellezza con l’apparenza. Sappiate invece scoprire che c’è una bellezza nel lavoratore che torna a casa sporco e in disordine, ma con la gioia di aver guadagnato il pane per i suoi figli. C’è una bellezza straordinaria nella comunione della famiglia riunita intorno alla tavola e nel pane condiviso con generosità, anche se la mensa è molto povera. C’è una bellezza nella moglie spettinata e un po’ anziana che continua a prendersi cura del marito malato al di là delle proprie forze e della propria salute. Malgrado sia lontana la primavera del corteggiamento, c’è una bellezza nella fedeltà delle coppie che si amano nell’autunno della vita e in quei vecchietti che camminano tenendosi per mano. C’è una bellezza che va al di là dell’apparenza o dell’estetica di moda in ogni uomo e ogni donna che vivono con amore la loro vocazione personale, nel servizio disinteressato per la comunità, per la patria, nel lavoro generoso per la felicità della famiglia, impegnati nell’arduo lavoro anonimo e gratuito di ripristinare l’amicizia sociale. Scoprire, mostrare e mettere in risalto questa bellezza, che ricorda quella di Cristo sulla croce, significa mettere le basi della vera solidarietà sociale e della cultura dell’incontro.
206. La pastorale giovanile non può che essere sinodale, vale a dire capace di dar forma a un “camminare insieme” che implica una «valorizzazione dei carismi che lo Spirito dona secondo la vocazione e il ruolo di ciascuno dei membri [della Chiesa], attraverso un dinamismo di corresponsabilità. […] Animati da questo spirito, potremo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone, accogliendo con gratitudine anche l’apporto dei fedeli laici, tra cui giovani e donne, quello della vita consacrata femminile e maschile, e quello di gruppi, associazioni e movimenti. Nessuno deve essere messo o potersi mettere in disparte».[111]
240. Se sappiamo ascoltare quello che ci sta dicendo lo Spirito, non possiamo ignorare che la pastorale giovanile dev’essere sempre una pastorale missionaria. I giovani si arricchiscono molto quando superano la timidezza e trovano il coraggio di andare a visitare le case, e in questo modo entrano in contatto con la vita delle persone, imparano a guardare al di là della propria famiglia e del proprio gruppo, cominciano a capire la vita in una prospettiva più ampia. Nello stesso tempo, la loro fede e il loro senso di appartenenza alla Chiesa si rafforzano. Le missioni giovanili, che di solito vengono organizzate durante i periodi di vacanza dopo un periodo di preparazione, possono suscitare un rinnovamento dell’esperienza di fede e anche seri approcci vocazionali.
L’accompagnamento da parte degli adulti
242. I giovani hanno bisogno di essere rispettati nella loro libertà, ma hanno bisogno anche di essere accompagnati. La famiglia dovrebbe essere il primo spazio di accompagnamento. La pastorale giovanile propone un progetto di vita basato su Cristo: la costruzione di una casa, di una famiglia costruita sulla roccia (cfr Mt 7,24-25). Quella famiglia, quel progetto, per la maggior parte di loro si concretizzerà nel matrimonio e nella carità coniugale. Per questo è necessario che la pastorale giovanile e la pastorale familiare stiano in una continuità naturale, operando in modo coordinato e integrato per poter accompagnare adeguatamente il processo vocazionale.
CAPITOLO OTTAVO
La vocazione
248. La parola “vocazione” può essere intesa in senso ampio, come chiamata di Dio. Comprende la chiamata alla vita, la chiamata all’amicizia con Lui, la chiamata alla santità, e così via. Questo ha un grande valore, perché colloca tutta la nostra vita di fronte a quel Dio che ci ama e ci permette di capire che nulla è frutto di un caos senza senso, ma al contrario tutto può essere inserito in un cammino di risposta al Signore, che ha un progetto stupendo per noi.
249. Nell’Esortazione Gaudete et exsultate ho voluto soffermarmi sulla vocazione di tutti a crescere per la gloria di Dio, e mi sono proposto di «far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità».[136] Il Concilio Vaticano II ci ha aiutato a rinnovare la consapevolezza di questa chiamata rivolta ad ognuno: «Tutti i fedeli d’ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità, la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste».[137]
La chiamata all’amicizia con Lui
250. La cosa fondamentale è discernere e scoprire che ciò che vuole Gesù da ogni giovane è prima di tutto la sua amicizia. Questo è il discernimento fondamentale. Nel dialogo del Signore risorto con il suo amico Simon Pietro, la grande domanda era: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,16). In altre parole: mi vuoi come amico? La missione che Pietro riceve di prendersi cura delle sue pecore e degli agnelli sarà sempre in relazione a questo amore gratuito, a questo amore di amicizia.
251. E, se fosse necessario un esempio nel senso contrario, ricordiamo l’incontro-scontro tra il Signore e il giovane ricco, che ci dice chiaramente come ciò che quel giovane non aveva colto era lo sguardo amorevole del Signore (cfr Mc 10,21). Se ne andò rattristato, dopo aver seguito una buona ispirazione, perché non era riuscito a staccarsi dalle molte cose che possedeva (cfr Mt 19,22). Perse l’occasione di quella che sicuramente avrebbe potuto essere una grande amicizia. E noi rimaniamo senza sapere che cosa avrebbe potuto essere per noi, che cosa avrebbe potuto fare per l’umanità quel giovane unico che Gesù aveva guardato con amore e al quale aveva teso la mano.
252. Perché «la vita che Gesù ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno. Quella vita non è una salvezza appesa “nella nuvola” in attesa di venire scaricata, né una nuova “applicazione” da scoprire o un esercizio mentale frutto di tecniche di crescita personale. Neppure la vita che Dio ci offre è un tutorial con cui apprendere l’ultima novità. La salvezza che Dio ci dona è un invito a far parte di una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie; che vive e vuole nascere tra noi perché possiamo dare frutto lì dove siamo, come siamo e con chi siamo. Lì viene il Signore a piantare e a piantarsi».[138]
Il tuo essere per gli altri
253. Vorrei ora soffermarmi sulla vocazione intesa nel senso specifico della chiamata al servizio missionario verso gli altri. Siamo chiamati dal Signore a partecipare alla sua opera creatrice, offrendo il nostro contributo al bene comune sulla base delle capacità che abbiamo ricevuto.
254. Questa vocazione missionaria riguarda il nostro servizio agli altri. Perché la nostra vita sulla terra raggiunge la sua pienezza quando si trasforma in offerta. Ricordo che «la missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo».[139] Di conseguenza, dobbiamo pensare che ogni pastorale è vocazionale, ogni formazione è vocazionale e ogni spiritualità è vocazionale.
255. La tua vocazione non consiste solo nelle attività che devi fare, anche se si esprime in esse. È qualcosa di più, è un percorso che orienterà molti sforzi e molte azioni verso una direzione di servizio. Per questo, nel discernimento di una vocazione è importante vedere se uno riconosce in se stesso le capacità necessarie per quel servizio specifico alla società.
256. Questo dà un valore molto grande a tali compiti, perché essi smettono di essere una somma di azioni che si compiono per guadagnare denaro, per essere occupati o per compiacere gli altri. Tutto questo costituisce una vocazione perché siamo chiamati, c’è qualcosa di più di una mera scelta pragmatica da parte nostra. In definitiva, si tratta di riconoscere per che cosa sono fatto, per che cosa passo da questa terra, qual è il piano del Signore per la mia vita. Egli non mi indicherà tutti i luoghi, i tempi e i dettagli, che io sceglierò con prudenza, ma certamente ci sarà un orientamento della mia vita che Egli deve indicarmi perché è il mio Creatore, il mio vasaio, e io ho bisogno di ascoltare la sua voce per lasciarmi plasmare e portare da Lui. Allora sarò ciò che devo essere e sarò anche fedele alla mia realtà personale.
257. Per realizzare la propria vocazione è necessario sviluppare, far germogliare e coltivare tutto ciò che si è. Non si tratta di inventarsi, di creare sé stessi dal nulla, ma di scoprirsi alla luce di Dio e far fiorire il proprio essere: «Nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione».[140] La tua vocazione ti orienta a tirare fuori il meglio di te stesso per la gloria di Dio e per il bene degli altri. Non si tratta solo di fare delle cose, ma di farle con un significato, con un orientamento. A questo proposito, Sant'Alberto Hurtado diceva ai giovani che devono prendere molto sul serio la rotta: «In una nave, il pilota negligente viene licenziato in tronco, perché quello che ha in mano è troppo sacro. E nella vita, noi stiamo attenti alla nostra rotta? Qual è la tua rotta? Se fosse necessario soffermarsi un po’ di più su questa idea, chiedo a ciascuno di voi di attribuirle la massima importanza, perché riuscire in questo equivale semplicemente ad avere successo; fallire in questo equivale semplicemente a fallire».[141]
258. Questo “essere per gli altri” nella vita di ogni giovane è normalmente collegato a due questioni fondamentali: la formazione di una nuova famiglia e il lavoro. I diversi sondaggi effettuati tra i giovani confermano ancora una volta che questi sono i due grandi temi per cui nutrono desideri e preoccupazioni. Entrambi devono essere oggetto di uno speciale discernimento. Soffermiamoci brevemente su di essi.
L’amore e la famiglia
259. I giovani sentono fortemente la chiamata all’amore e sognano di incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia e costruire una vita insieme. Senza dubbio è una vocazione che Dio stesso propone attraverso i sentimenti, i desideri, i sogni. Su questo tema mi sono soffermato a lungo nell’Esortazione Amoris laetitia e invito tutti i giovani a leggere in particolare i capitoli 4 e 5.
260. Mi piace pensare che «due cristiani che si sposano hanno riconosciuto nella loro storia di amore la chiamata del Signore, la vocazione a formare di due, maschio e femmina, una sola carne, una sola vita. E il Sacramento del matrimonio avvolge questo amore con la grazia di Dio, lo radica in Dio stesso. Con questo dono, con la certezza di questa chiamata, si può partire sicuri, non si ha paura di nulla, si può affrontare tutto, insieme!».[142]
261. In questo contesto, ricordo che Dio ci ha creati sessuati. Egli stesso «ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature».[143] All’interno della vocazione al matrimonio, dobbiamo riconoscere ed essere grati per il fatto che «la sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato. L’amore fra un uomo e una donna, quando è appassionato, ti porta a dare la vita per sempre. Sempre. E a darla con il corpo e l’anima».[144]
262. Il Sinodo ha sottolineato che «la famiglia continua a rappresentare il principale punto di riferimento per i giovani. I figli apprezzano l’amore e la cura da parte dei genitori, hanno a cuore i legami familiari e sperano di riuscire a formare a loro volta una famiglia. Indubbiamente l’aumento di separazioni, divorzi, seconde unioni e famiglie monoparentali può causare nei giovani grandi sofferenze e crisi d’identità. Talora devono farsi carico di responsabilità che non sono proporzionate alla loro età e li costringono a divenire adulti prima del tempo. I nonni offrono spesso un contributo decisivo nell’affetto e nell’educazione religiosa: con la loro saggezza sono un anello decisivo nel rapporto tra le generazioni».[145]
263. Queste difficoltà incontrate nella famiglia di origine portano certamente molti giovani a chiedersi se vale la pena formare una nuova famiglia, essere fedeli, essere generosi. Voglio dirvi di sì, che vale la pena scommettere sulla famiglia e che in essa troverete gli stimoli migliori per maturare e le gioie più belle da condividere. Non lasciate che vi rubino la possibilità di amare sul serio. Non fatevi ingannare da coloro che propongono una vita di sregolatezza individualistica che finisce per portare all’isolamento e alla peggiore solitudine.
264. Oggi regna una cultura del provvisorio che è un’illusione. Credere che nulla può essere definitivo è un inganno e una menzogna. Molte volte «c’è chi dice che oggi il matrimonio è “fuori moda”. [...] Nella cultura del provvisorio, del relativo, molti predicano che l’importante è “godere” il momento, che non vale la pena di impegnarsi per tutta la vita, di fare scelte definitive. […] Io, invece, vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente; sì, in questo vi chiedo di ribellarvi a questa cultura del provvisorio, che, in fondo, crede che voi non siate in grado di assumervi responsabilità, crede che voi non siate capaci di amare veramente».[146] Io invece ho fiducia in voi, per questo vi incoraggio a scegliere il matrimonio.
265. Al matrimonio bisogna prepararsi, e questo richiede di educare sé stessi, di sviluppare le migliori virtù, specialmente l’amore, la pazienza, la capacità di dialogo e di servizio. Implica anche educare la propria sessualità, in modo che sia sempre meno uno strumento per usare gli altri e sempre più una capacità di donarsi pienamente a una persona in modo esclusivo e generoso.
266. I Vescovi della Colombia ci hanno insegnato che «Cristo sa che gli sposi non sono perfetti e che hanno bisogno di superare la loro debolezza e incostanza perché il loro amore possa crescere e durare nel tempo. Per questo, concede ai coniugi la sua grazia che è, allo stesso tempo, luce e forza che permette loro di realizzare il loro progetto di vita matrimoniale in conformità con il piano di Dio».[147]
267. Per coloro che non sono chiamati al matrimonio o alla vita consacrata, occorre ricordare sempre che la prima e più importante vocazione è la vocazione battesimale. Le persone non sposate, anche non per scelta, possono diventare in modo particolare testimoni di tale vocazione nel loro cammino di crescita personale.
Il lavoro
268. I Vescovi degli Stati Uniti d’America hanno rilevato con chiarezza che la gioventù, una volta raggiunta la maggior età, «segna spesso l’ingresso di una persona nel mondo del lavoro. “Cosa fai per vivere?” è un argomento costante di conversazione, perché il lavoro è una parte molto importante della loro vita. Per i giovani adulti, questa esperienza è molto fluida perché passano da un lavoro all'altro e anche da una carriera all’altra. Il lavoro può definire l’uso del tempo e può determinare cosa possono fare o acquistare. Può anche determinare la qualità e la quantità del tempo libero. Il lavoro definisce e influenza l’identità e il concetto di sé di un giovane adulto ed è un luogo fondamentale dove si sviluppano le amicizie e altre relazioni, perché di solito non si lavora da soli. I giovani, uomini e donne, parlano del lavoro come adempimento di una funzione e come qualcosa che fornisce un significato. Permette ai giovani adulti di soddisfare le loro necessità pratiche, nonché – cosa ancora più importante – di cercare il senso e la realizzazione dei loro sogni e delle loro visioni. Anche se il lavoro potrebbe non aiutarli a realizzare i loro sogni, è importante per i giovani-adulti coltivare una visione, imparare a lavorare in un modo veramente personale e soddisfacente per la loro vita, e continuare a discernere la chiamata di Dio».[148]
269. Invito i giovani a non aspettarsi di vivere senza lavorare, dipendendo dall’aiuto degli altri. Questo non va bene, perché «il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze».[149] Ne consegue che «la spiritualità cristiana, insieme con lo stupore contemplativo per le creature che troviamo in san Francesco d’Assisi, ha sviluppato anche una ricca e sana comprensione del lavoro, come possiamo riscontrare, per esempio, nella vita del beato Charles de Foucauld e dei suoi discepoli».[150]
270. Il Sinodo ha sottolineato che il mondo del lavoro è un ambito in cui i giovani «sperimentano forme di esclusione ed emarginazione. La prima e più grave è la disoccupazione giovanile, che in alcuni Paesi raggiunge livelli esorbitanti. Oltre a renderli poveri, la mancanza di lavoro recide nei giovani la capacità di sognare e di sperare e li priva della possibilità di dare un contributo allo sviluppo della società. In molti Paesi questa situazione dipende dal fatto che alcune fasce di popolazione giovanile sono sprovviste di adeguate capacità professionali, anche a causa dei deficit del sistema educativo e formativo. Spesso la precarietà occupazionale che affligge i giovani risponde agli interessi economici che sfruttano il lavoro».[151]
271. È una questione molto delicata che la politica deve considerare come una problematica prioritaria, in particolare oggi che la velocità degli sviluppi tecnologici, insieme all’ossessione per la riduzione del costo del lavoro, può portare rapidamente a sostituire innumerevoli posti di lavoro con macchinari. Si tratta di una questione fondamentale della società, perché il lavoro per un giovane non è semplicemente un’attività finalizzata a produrre un reddito. È un’espressione della dignità umana, è un cammino di maturazione e di inserimento sociale, è uno stimolo costante a crescere in termini di responsabilità e di creatività, è una protezione contro la tendenza all’individualismo e alla comodità, ed è anche dar gloria a Dio attraverso lo sviluppo delle proprie capacità.
272. Non sempre un giovane ha la possibilità di decidere a che cosa dedicare i suoi sforzi, per quali compiti spendere le sue energie e la sua capacità di innovazione. Perché, al di là dei propri desideri e molto al di là delle proprie capacità e del discernimento che una persona può maturare, ci sono i duri limiti della realtà. È vero che non puoi vivere senza lavorare e che a volte dovrai accettare quello che trovi, ma non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione, non darti mai per vinto. Continua sempre a cercare, come minimo, modalità parziali o imperfette di vivere ciò che nel tuo discernimento riconosci come un’autentica vocazione.
273. Quando uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione. Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, come risposta a una chiamata che risuona nel più profondo del proprio essere per dare qualcosa agli altri, fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza. Questo è ciò che diceva l’antico libro biblico del Qoèlet: «Mi sono accorto che nulla c’è di meglio per l’uomo che godere delle sue opere» (3,22).
Vocazioni a una consacrazione speciale
274. Se partiamo dalla convinzione che lo Spirito continua a suscitare vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, possiamo “gettare di nuovo le reti” nel nome del Signore, con piena fiducia. Possiamo – e dobbiamo – avere il coraggio di dire ad ogni giovane di interrogarsi sulla possibilità di seguire questa strada.
275. Alcune volte ho fatto questa proposta a dei giovani, che mi hanno risposto quasi in tono beffardo dicendo: «No, veramente io non vado in quella direzione». Tuttavia, anni dopo alcuni di loro erano in Seminario. Il Signore non può venir meno alla sua promessa di non lasciare la Chiesa priva dei pastori, senza i quali non potrebbe vivere né svolgere la sua missione. E se alcuni sacerdoti non danno una buona testimonianza, non per questo il Signore smetterà di chiamare. Al contrario, Egli raddoppia la posta, perché non cessa di prendersi cura della sua amata Chiesa.
276. Nel discernimento di una vocazione non si deve escludere la possibilità di consacrarsi a Dio nel sacerdozio, nella vita religiosa o in altre forme di consacrazione. Perché escluderlo? Abbi la certezza che, se riconosci una chiamata di Dio e la segui, ciò sarà la cosa che darà pienezza alla tua vita.
277. Gesù cammina in mezzo a noi come faceva in Galilea. Passa per le nostre strade, si ferma e ci guarda negli occhi, senza fretta. La sua chiamata è attraente, è affascinante. Oggi, però, l’ansia e la velocità di tanti stimoli che ci bombardano fanno sì che non ci sia spazio per quel silenzio interiore in cui si percepisce lo sguardo di Gesù e si ascolta la sua chiamata. Nel frattempo, riceverai molte proposte ben confezionate, che si presentano belle e intense, ma con il tempo ti lasceranno svuotato, stanco e solo. Non lasciare che questo ti accada, perché il turbine di questo mondo ti trascina in una corsa senza senso, senza orientamento, senza obiettivi chiari, e così molti tuoi sforzi andranno sprecati. Cerca piuttosto quegli spazi di calma e di silenzio che ti permettano di riflettere, di pregare, di guardare meglio il mondo che ti circonda, e a quel punto, insieme a Gesù, potrai riconoscere quale è la tua vocazione in questa terra.
CAPITOLO NONO
Il discernimento
278. Sul discernimento in generale, mi sono già soffermato nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate. Permettetemi di riprendere alcune di quelle riflessioni applicandole al discernimento della propria vocazione nel mondo.
Come discernere la tua vocazione
283. Un’espressione del discernimento è l’impegno per riconoscere la propria vocazione. È un compito che richiede spazi di solitudine e di silenzio, perché si tratta di una decisione molto personale che nessun altro può prendere al nostro posto: «Anche se il Signore ci parla in modi assai diversi durante il nostro lavoro, attraverso gli altri e in ogni momento, non è possibile prescindere dal silenzio della preghiera prolungata per percepire meglio quel linguaggio, per interpretare il significato reale delle ispirazioni che pensiamo di aver ricevuto, per calmare le ansie e ricomporre l’insieme della propria esistenza alla luce di Dio».[157]
285. Quando si tratta di discernere la propria vocazione, è necessario porsi varie domande. Non si deve iniziare chiedendosi dove si potrebbe guadagnare di più, o dove si potrebbe ottenere più fama e prestigio sociale, ma non si dovrebbe nemmeno cominciare chiedendosi quali compiti ci darebbero più piacere. Per non sbagliarsi, occorre cambiare prospettiva e chiedersi: io conosco me stesso, al di là delle apparenze e delle mie sensazioni? So che cosa dà gioia al mio cuore e che cosa lo intristisce? Quali sono i miei punti di forza e i miei punti deboli? Seguono immediatamente altre domande: come posso servire meglio ed essere più utile al mondo e alla Chiesa? Qual è il mio posto su questa terra? Cosa potrei offrire io alla società? Ne seguono altre molto realistiche: ho le capacità necessarie per prestare quel servizio? Oppure, potrei acquisirle e svilupparle?
286 ???
La chiamata dell’Amico
287. Per discernere la propria vocazione, bisogna riconoscere che essa è la chiamata di un amico: Gesù. Agli amici, quando si fa un regalo, si regala il meglio. E questo non è necessariamente la cosa più costosa o difficile da procurare, ma quella che sappiamo darà gioia all’altro. Un amico ha una percezione così chiara di questo, che può visualizzare nella sua immaginazione il sorriso dell’amico mentre apre il suo regalo. Questo discernimento di amicizia è quello che propongo ai giovani come modello se vogliono capire qual è la volontà di Dio per la loro vita.
289. Il regalo della vocazione sarà senza dubbio un regalo esigente. I regali di Dio sono interattivi e per goderli bisogna mettersi molto in gioco, bisogna rischiare. Tuttavia, non sarà l’esigenza di un dovere imposto da un altro dall’esterno, ma qualcosa che ti stimolerà a crescere e a fare delle scelte perché questo regalo maturi e diventi un dono per gli altri. Quando il Signore suscita una vocazione, pensa non solo a quello che sei, ma a tutto ciò che, insieme a Lui e agli altri, potrai diventare.
290. La potenza della vita e la forza della propria personalità si alimentano a vicenda all’interno di ogni giovane e lo spingono ad andare oltre ogni limite. L’inesperienza permette che questo scorra, anche se ben presto si trasforma in esperienza, tante volte dolorosa. È importante mettere in contatto questo desiderio dell’«infinito di quando non si è ancora provato a iniziare»[160] con l’amicizia incondizionata che Gesù ci offre. Prima di ogni legge e di ogni dovere, quello che Gesù ci propone di scegliere è un seguire, come quello degli amici che si seguono, si cercano e si trovano per pura amicizia. Tutto il resto viene dopo, e persino i fallimenti della vita potranno essere un’inestimabile esperienza di questa amicizia che non si rompe mai.
Ascolto e accompagnamento
291. Ci sono sacerdoti, religiosi, religiose, laici, professionisti e anche giovani qualificati che possono accompagnare i giovani nel loro discernimento vocazionale. Quando ci capita di aiutare un altro a discernere la strada della sua vita, la prima cosa è ascoltare. Questo ascolto presuppone tre sensibilità o attenzioni distinte e complementari.
295. Solo allora il discernimento diventa uno strumento di impegno forte per seguire meglio il Signore.[161] In questo modo, il desiderio di riconoscere la propria vocazione acquista un’intensità suprema, una qualità differente e un livello superiore, che risponde molto meglio alla dignità della propria vita. Perché, in ultima analisi, un buon discernimento è un cammino di libertà che porta alla luce quella realtà unica di ogni persona, quella realtà che è così sua, così personale, che solo Dio la conosce. Gli altri non possono né comprendere pienamente né prevedere dall’esterno come si svilupperà.
296. Perciò, quando uno ascolta l’altro in questo modo, a un certo punto deve scomparire per lasciare che segua la strada che ha scoperto. Scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli, lasciandoli soli con l’ardore del cuore, che si trasforma in impulso irresistibile a mettersi in cammino (cfr Lc 24,31-33). Al loro ritorno nella comunità, i discepoli di Emmaus riceveranno la conferma che il Signore è veramente risorto (cfr Lc 24,34).
297. Poiché «il tempo è superiore allo spazio»,[162] dobbiamo suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi. E si tratta di processi di persone che sono sempre uniche e libere. Per questo è difficile costruire ricettari, anche quando tutti i segni sono positivi, perché «si tratta di sottoporre gli stessi fattori positivi ad attento discernimento, perché non si isolino l’uno dall’altro e non vengano in contrasto tra loro, assolutizzandosi e combattendosi a vicenda. Altrettanto si dica dei fattori negativi: non sono da respingere in blocco e senza distinzioni, perché in ciascuno di essi può nascondersi un qualche valore, che attende di essere liberato e ricondotto alla sua verità piena».[163]
298. Ma per accompagnare gli altri in questo cammino, è necessario anzitutto che tu sia ben esercitato a percorrerlo in prima persona. Maria lo ha fatto, affrontando le proprie domande e le proprie difficoltà quando era molto giovane. Possa ella rinnovare la tua giovinezza con la forza della sua preghiera e accompagnarti sempre con la sua presenza di Madre.
* * *
E per concludere... un desiderio
299. Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte «attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci».[164]
Loreto, presso il Santuario della Santa Casa, 25 marzo, Solennità dell’Annunciazione del Signore, dell’anno 2019, settimo del pontificato
FRANCESCO